Fondazione Ambrosoli: il miracolo d’amore di Padre Giuseppe

Fondazione Ambrosoli

A colloquio con la presidente Giovanna Ambrosoli. A novembre 2022 verrà beatificato il missionario medico comboniano, originario del comasco. La sua opera preziosa e indimenticata in Uganda, dove oggi a Kalongo sono attivi il Dr. Ambrosoli Memorial Hospital e una scuola di ostetricia.

Squilla lo smartphone. La chiamata arriva dall’ospedale in Uganda. Giovanna Ambrosoli, presidente della Fondazione intitolata allo zio, Padre Giuseppe Ambrosoli, risponde con prontezza sfoggiando un perfetto inglese. Scusandosi ci dice: “Attendevo impazientemente questa telefonata. È uno dei nostri medici, chiama da Kalongo e sta lavorando a un nostro progetto”.

C’è una linea calda, sempre aperta, con l’Africa e con la gente che Padre Giuseppe ha amato, condividendo con essa una vicenda umana che merita di essere conosciuta e approfondita, spargendo un seme d’amore che oggi sta dando frutti sempre più maturi.

Quella di Padre Ambrosoli è la storia di un uomo di fede, mite e coraggioso, che nel cuore del continente nero ha saputo sintonizzarsi con i sentimenti, e non solo con gli intelletti, trovando una via per farsi ascoltare e per costruire progetti di futuro.

Già dichiarato Venerabile nel dicembre 2015, il 22 novembre 2022 sarà beatificato proprio in Uganda, tra la sua amata gente.

Missionario comboniano, comasco di Ronago, un paesotto ai confini con la Svizzera, fin da ragazzo aveva intuito che la sua vocazione sarebbe stata quella del servizio ai più poveri.

L’azienda di famiglia - quella nota per il miele e le caramelle - gli avrebbe assicurato un futuro di soddisfazioni. Ma lui decide dapprima di diventare medico e poi di dedicarsi agli ultimi, a migliaia di chilometri di distanza, in un Paese lontano e poverissimo, accantonando una brillante carriera in qualche struttura d’eccellenza nell’Italia dell’imminente boom economico.

Nel 1955 viene ordinato sacerdote dal Cardinale Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. È il 1956 quando sale su una nave, destinazione Uganda, nel cuore del continente nero.

Qui anima un piccolo dispensario a Kalongo, nel nord del Paese africano.

Tra il 1957 e il 1959 inizia la costruzione di quello che oggi è un ospedale moderno e attrezzato, affiancato dalla St. Mary’s Midwifery School, attualmente la migliore scuola di ostetricia dell’Uganda.

La beatificazione di Padre Giuseppe è strettamente collegata alla sua attività in Africa.

È l’ottobre del 2008. Padre Ambrosoli è morto da oltre vent’anni, ma la sua opera ha lasciato semi d’amore. Una giovane ugandese sta per morire di setticemia, dopo aver perso il figlio che portava in grembo. La speranza di salvarla è pressoché nulla. Il medico di turno mette l’immagine votiva di Padre Giuseppe sotto il cuscino della ventenne e raccomanda ai suoi famigliari di invocare il “grande dottore”, come viene ancora oggi ricordato.

La donna guarisce in modo “scientificamente inspiegabile”.

Il gesto del giovane medico che invita ad affidarsi a Padre Ambrosoli è la migliore dimostrazione di quanto quest’uomo abbia lasciato un segno indelebile: “Padre Giuseppe è ricordato in Uganda come ‘il medico della carità’ – afferma Giovanna Ambrosoli –. Ha unito rigore professionale e spirito di carità, formazione e crescita umana. Ha lasciato una preziosa eredità di valori, che sono fonte di ispirazione per tante persone”.

Anche lei, sua nipote, è stata inevitabilmente attratta: dopo un significativo percorso professionale nel marketing e nella comunicazione, dal 2010 ha messo la propria esperienza al servizio della Fondazione che porta il nome dello zio e della quale oggi è presidente.

Ricorda padre Giuseppe come una figura quasi mitica, caratterizzata da una grande umanità e dalla capacità di coinvolgere: “Quando rientrava in Italia per qualche giorno di riposo – ricorda – era per tutti noi un momento di gioia. Apprezzavo molto la sua umanità e serenità, affiancata da una grande capacità di pensare in grande”.

Si è scritto sopra del coraggio di Padre Giuseppe. Ce ne voleva parecchio, negli anni ’50 del secolo scorso, a salire su una nave e ad affrontare poi un percorso a dir poco avventuroso su una jeep, nel cuore della savana, fino ad arrivare a Kalongo: “Lo zio ci raccontava con entusiasmo del suo dispensario costruito ai piedi della Montagna del vento, il simbolo di quel villaggio sperduto nella savana – spiega Giovanna Ambrosoli -. All’inizio era una piccola capanna con il tetto di paglia. Poi, con decisione e pazienza, lo trasformò in un grande ospedale. Certamente Padre Giuseppe aveva ereditato dalla famiglia lo spirito manageriale, ma bisogna anche dire che era un medico capace e un sacerdote attento”.

Nella vicenda di Padre Ambrosoli ci sono anche momenti terribili, come quelli che si incrociano con la sanguinosa guerra civile che irrompe nella storia ugandese, causando migliaia di morti e stravolgendo anche la vita del suo ospedale: “Mi è rimasto impresso il drammatico racconto della fuga forzata dall’ospedale in fiamme, nel 1987 – continua –. Padre Giuseppe organizza in poche ore la carovana di pazienti, li porta in salvo, con i medici e gli infermieri. Mentre è costretto alla fuga si volta indietro, forse sapendo in cuor proprio che non sarebbe più tornato in quel luogo nel quale aveva speso tutta la propria vita professionale e pastorale”.

Infatti, a causa di un blocco renale, muore poco dopo, in una località ugandese isolata dalla guerra, senza la possibilità di essere curato.

Ma non è tutto perduto. Tutt’altro. L’ospedale di Kalongo viene protetto dai suoi abitanti e dopo poco tempo rinasce e prosegue la sua opera di cura e di assistenza.

Oggi la Fondazione voluta dalla famiglia Ambrosoli e dai missionari comboniani ha raccolto l’eredità di Padre Giuseppe per dare sostegno e continuità a tutto il suo lavoro.

Lo scopo principale della Fondazione è quello di sostenere il lavoro di una struttura sanitaria da trecento posti letto, dove vengono curati migliaia di bambini, donne, uomini, sicuri di trovare professionalità e amore: “Il ‘Dr. Ambrosoli Memorial Hospital’ è attivo in una delle aree più remote e povere del nord Uganda – spiega la nostra interlocutrice –. L’ospedale sta ancora gestendo, pur a distanza di anni, le pesanti conseguenze della guerra civile che ha interessato la regione dal 1986 al 2007, distruggendo il tessuto sociale e il capitale umano di un’intera comunità. Si pensi solo agli oltre 100 mila morti e ai 30 mila bambini che sono stati rapiti durante il conflitto e fatti diventare bambini-soldato. Gli sfollati hanno vissuto per anni in un enorme campo profughi costruito ai piedi della montagna che sovrasta l’ospedale, in condizioni di vita umanamente intollerabili. Senza dimenticare il peggioramento della situazione delle donne”.

L’ospedale è così l’unico punto di riferimento sanitario per una vasta zona, con un bacino di utenza complessivo di mezzo milione di persone.

Ogni anno, l’ospedale garantisce assistenza sanitaria qualificata a più di 50 mila pazienti.

Accanto all’ospedale e alle sale chirurgiche funziona anche la scuola dove, dalla fondazione del 1959 ad oggi, più di millecinquecento ragazze si sono diplomate ostetriche: è il risultato della capacità di visione di Padre Giuseppe, fermamente convinto dell’importanza della formazione femminile per il progresso del Paese.

Il “medico della carità” ha fatto proprio un miracolo d’amore: “Padre Giuseppe Ambrosoli – ha detto il Cardinale Gianfranco Ravasi – è attuale perché la sua storia contiene tutti gli ingredienti utili a farne un esempio prezioso, non un santino inavvicinabile o da diffondere in modo retorico, ma un approccio alla vita generoso e professionale”.

Ultima modifica 24/05/2022