Albano nell’evoluzione dello Stato Pontificio

Albano

Albano Laziale si colloca nella parte dei Castelli Romani caratterizzata dai resti di antichi crateri vulcanici, alcuni dei quali hanno formato il Lago di Albano, la cui circonferenza è di circa 10 km, e il vicino lago di Nemi. Il primo ha forma ellittica, in quanto composto da due crateri contigui; l’altro, minore, da uno solo. Pochi chilometri a sud dei laghi, la frazione di Montagnano (Monte di Giano) segnava un confine tra i territori delle antiche etnie laziali dei Rutuli, dei Latini e dei Volsci. In epoca repubblicana Roma realizzò un canale scolmatore sotterraneo nel fianco dell’ex vulcano, così da regolare il livello del bacino.

In prossimità dei due laghi sorsero diverse ville patrizie, tra cui – stando alle fonti classiche – quelle di Publio Clodio e di Gneo Pompeo.

La più importante villa di nuova costruzione del periodo imperiale fu una residenza estiva voluta da Domiziano, l’ultimo esponente dei Flavi, il quale da ragazzo, nel 69, era sfuggito per un soffio agli sgherri di Vitellio e all’incendio del Campidoglio (e forse quel trauma può spiegare l’indurimento del suo cuore negli ultimi anni di regno).

Settimio Severo, salito al potere alla fine del II secolo, decise di collocare stabilmente ad Albano la Seconda Legione Partica, da lui ritenuta più affidabile quale guardia personale rispetto ai pretoriani. Il figlio, Caracalla, aggiunse nuove Terme agli edifici in muratura e alle cisterne; qualche decennio più tardi venne realizzato anche un anfiteatro, sfruttando la pendenza naturale. Albano in anni recenti ha dedicato a queste truppe un Museo.

La legione Partica venne rimandata in Oriente qualche anno prima dell’effimero tentativo di Massenzio di restituire all’Urbe il ruolo di capitale dell’impero. Ne conseguì un calo della popolazione residente; inevitabile ma non repentino; in caso contrario Costantino non avrebbe deciso di elevare Albano a sede di una diocesi. Poco fondata appare la tesi secondo cui tale atto nasceva dal desiderio di estirpare il culto di Mitra, tradizionalmente associato alle legioni “orientali” e testimoniato dal mitreo scoperto a Marino nel 1962.

Nel medioevo, durante il lungo e complesso periodo della trasformazione del “Patrimonio di S. Pietro” in uno Stato sovrano, i punti di riferimento per Albano furono Tuscolo (distrutta nel 1194, le succedette Frascati) e Velletri. I Savelli, una delle potenti famiglie marchionali del Lazio, mantennero il controllo su Albano per circa quattro secoli, fino agli ultimi anni del ‘600; il passaggio all’amministrazione pontificia non determinò significativi mutamenti strutturali in un borgo parzialmente ancora murato, dove rimaneva traccia dell’impianto urbanistico di epoca imperiale, a maglie regolari, lungo la via Appia. Come ricorda il sito del Comune, “Un anno fondamentale per la città di Albano fu il 1780, allorquando Pio VI diede il via ai lavori di ristrutturazione della via Appia, con lo scopo di realizzare un collegamento rapido tra Roma e Terracina, dove fervevano i lavori per la bonifica delle Paludi Pontine. L’apertura del nuovo percorso della via Appia portò indubbi benefici ad Albano e la città ritornò ad essere [dopo sette secoli, n.d.r.] luogo di villeggiatura delle famiglie patrizie di Roma.”

Venne tra l’altro agevolata la conoscenza da parte dei turisti del “giro” di Enrico Stuart di monumenti quali la “Tomba degli Orazi e Curiazi” e l’ipogea Tomba di Pompeo.

I riflessi locali del contrasto  tra gli Albani e la famiglia Stuart

Nel 1715 il re d’Inghilterra Giorgio I aveva represso l’insurrezione fomentata da Giacomo Edoardo Stuart, figlio del re Giacomo II, deposto nel 1688 e morto in esilio nel 1701.

Fino a quel momento gli Stuart avevano potuto contare sulla protezione del Re Sole, ma dopo la sua scomparsa (settembre 1715) il Reggente di Francia, Filippo d’Orleans, aveva negato il suo sostegno. Il papa Clemente XI aveva invece concesso asilo politico a colui che gli inglesi chiamavano sprezzantemente Old Pretender, il quale nel 1719 sposò a Montefiascone la nobile polacca Maria Sobieski, da cui ebbe Carlo Edoardo; nel 1725 Maria partorì ad Albano Laziale il secondogenito, Enrico Benedetto, presto avviato alla carriera ecclesiastica.

In quel periodo i due “cardinal nipoti” di Clemente XI, Annibale e Alessandro Albani, erano entrati in diplomazia, avvicendandosi nelle sedi di Vienna e delle altre capitali germaniche; cercarono anche di vincere le remore dello zio nei confronti del braccio destro del Reggente, Guillaume Dubois, pronto a intervenire nelle annose dispute sui rapporti tra il clero francese e il papato romano. Il Dubois presentò ai due fratelli l’ambizioso sir James Stanhope, il quale si dimostrò interessato non solo alle collezioni di reperti (statue, cammei, monete) raccolte, in particolare, da Alessandro Albani, ma anche a ottenere informazioni rispetto alle attività della piccola corte dell’Old Pretender, il quale aveva ottenuto dal governo pontificio la possibilità di fornire ai propri sostenitori passaporti alternativi a quelli rilasciati dalle autorità di Londra. Nel corso degli anni Alessandro Albani aprì le porte nel suo bel palazzo romano (cui si aggiunse dagli anni ’50 la villa di Tivoli) a non pochi giovani inglesi di buona famiglia impegnati nel cosiddetto Grand Tour; tra i primi Philip Dormer, nipote di sir James. Nel 1821 morirono sia lord Stanhope che Clemente XI; l’attività di monitoraggio degli Stuart (anch’essi impegnati nel rendere i monumenti romani attrattivi per i rampolli della nobiltà cattolica impegnati nel Grand Tour) passò quindi a un personaggio divenuto sodale dell’Albani, l’antiquario tedesco Philipp Stosch, massone. Fu un catalogo di antichità da lui pubblicato ad accendere la passione del giovane, Johann Joachim Winckelmann, il maggior teorico del Neoclassicismo, il quale avrebbe trascorso molti anni a Villa Albani. Il cardinale comprava e vendeva, oltre alle gemme antiche, incisioni e disegni, quadri, libri e manoscritti. Nel conclave del 1730 decise di emanciparsi dalle posizioni del fratello; il risultato fu l’elezione di Clemente XII, il quale nel febbraio 1731 espulse lo “spione” Stosch; egli riparò a Firenze, dove proseguì le sue attività, a stretto contatto con il rappresentante inglese, Francis Colman.

Alessandro Albani aveva contrastato la nascita del nuovo regno di Napoli (1734): sia perché avrebbe sottratto all’Austria (di cui lui era uno dei referenti diplomatici a Roma) il controllo diretto del Meridione, sia perché essa comportò il trasferimento a Napoli della Collezione Farnese, di cui aveva sperato di acquisire qualche pezzo pregiato. Egli, a differenza del papa Lambertini, vide con favore la firma del trattato di Worms (1743) tra Austria, Savoia e Inghilterra, nonché il fallimento, nel febbraio 1744, del progetto (velleitario) di Luigi XVI di riportare sul trono inglese Giacomo III Stuart.

La neutralità dello Stato Pontificio fu violata dalle truppe austro-sarde; il giovane re di Napoli, Carlo III, supportato da truppe spagnole, varcò a sua volta il confine e si portò nella zona dei Castelli. La scelta cadde su Velletri, dove l’accolse mons. Braschi, il futuro Pio VI.

Le truppe austriache posero il campo a Nemi, e cominciarono a requisire vettovaglie anche ad Albano. I combattimenti si protrassero sino all’11 agosto, quando fallì l’ultimo tentativo austriaco di prendere la città.

L’anno seguente Carlo Edoardo Stuart sbarcò audacemente in Scozia, alla guida di una nuova insurrezione giacobita che raccolse grandi entusiasmi, ma nel febbraio 1746 i giacobiti subirono una sanguinosa e definitiva sconfitta a Culloden. L’anno seguente il Papa riconobbe al giovane Enrico Benedetto Stuart il titolo di “duca di York” e lo fece cardinale; egli mantenne sempre i legami familiari con i Castelli, e si adoperò per migliorare il livello culturale nella zona, specialmente da quando venne nominato vescovo di Frascati (1761). Rilanciò il seminario diocesano, dopo la controversa scelta di Clemente XIV di sciogliere i Gesuiti (1773). Vi accolse, tra altri, Ercole Consalvi, destinato a diventare un abile diplomatico e un attento esecutore delle politiche di riforma amministrativa poste in atto da Pio VI e dal suo successore.

Il Consalvi mantenne sempre ottimi rapporti con la gente di Albano, dove aveva ereditato una palazzina; durante la lunga parentesi del dominio francese e repubblicano condivise molte tribolazioni con un altro cardinale nato da famiglia non nobile, Michele Di Pietro.

Negli anni trascorsi alla guida dell’amministrazione pontificia Consalvi ebbe un irriducibile avversario: Giovanni Torlonia, fondatore di una dinastia di affaristi e collezionisti, nelle cui mani finirono sia le proprietà che gran parte delle raccolte di Alessandro Albani, morto nel 1779. Oggi gli storici stanno approfondendo le figure del Consalvi e del Di Pietro, la cui famiglia fu protagonista nella vita economica locale. Entrambi i cardinali trascorsero gli ultimi anni ai vertici di Propaganda Fide, il dicastero della Santa Sede deputato alla “evangelizzazione”. Questo nome per la gente di Albano e di Castel Gandolfo rimane legato al bombardamento del 10 febbraio 1944, quando venne distrutto il complesso religioso in cui si erano rifugiati molti sfollati, convinti (purtroppo a torto) che gli edifici di proprietà del Vaticano sarebbero stati risparmiati. Le vittime furono circa cinquecento. 

Ultima modifica 09/01/2023