Acerbis: un lungo viaggio all’insegna della passione

Monica Nanetti

Quella dell’azienda di successo che nasce all’interno di un garage, dall’iniziativa di un giovane pieno di entusiasmo e di passione, può sembrare una sorta di luogo comune, un vero e proprio archetipo. E invece nel caso di Acerbis Italia, azienda bergamasca specializzata nell’ideazione, realizzazione e commercializzazione di abbigliamento tecnico e accessori per l’attività sportiva, le cose sono andate esattamente così.

A raccontarlo è lo stesso Franco Acerbis, il dinamico e attivissimo fondatore di una realtà di rilievo internazionale: “Sono il quinto di nove figli; a scuola non ho mai avuto voglia di studiare, nonostante mi abbia sempre contraddistinto un desiderio - che definirei quasi ‘insano’ - di conoscenza. Tanto è vero che dopo la seconda bocciatura consecutiva in terza media fui portato da mia madre, con una ampiezza di vedute rara per l’epoca, da uno psicologo per capire quale fosse il problema. Dopo una serie di test, il responso fu semplicemente: ‘può fare qualunque cosa, anche l’università, ma deve innanzitutto trovare la sua strada’. Decisi così per un lavoro creativo, quello di fotografo; ma arrivato a Milano per iscrivermi alla scuola, trovai i posti a numero chiuso già tutti occupati. Gli unici corsi ancora disponibili erano quello di elettrauto, oppure quello di materie plastiche: la plastica era allora considerato un materiale povero, non nobile, e infatti contrariamente alla fotografia non c’era neppure il numero minimo di studenti previsto per avviare il corso. Ma l’idea mi intrigava, tanto che, seduta stante, convinsi all’iscrizione altri due ragazzi venuti a chiedere informazioni: come in ‘Sliding doors’, era bastato pochissimo per cambiare il corso della mia storia, per permettermi di scoprire un mondo nuovo e, con esso, una maggiore autostima”.

È a questo punto che nella vita di Franco Acerbis entrano in scena le moto. Quasi inevitabile, considerato che la sua cittadina (Albino, dove si trova tuttora il quartier generale della società) e tutta la Val Seriana negli anni ’60, ’70 e ’80 erano una vera e propria fucina di campioni a livello continentale di quella che all’epoca veniva definita “moto regolarità” (l’attuale Enduro). “Mi comperai un Morini - che ho tuttora - e quasi subito, con la prima caduta, ruppi un parafango: per ripararlo iniziai a chiedere in giro, a chi ne sapeva più di me in zona… in quegli anni, però, si prestava attenzione solo alla meccanica, alla potenza, la carrozzeria era considerata un elemento secondario. Io, invece, seguivo gli sviluppi del design, e avendo iniziato anche a gareggiare avevo ben presente quali fossero le esigenze dei piloti: ‘Franco, fai tu…’ era quello che mi veniva chiesto. Così, spostando la Mehari dal garage di casa per fare spazio, incominciai a dare vita a nuove soluzioni che fondessero due concetti a me molto cari: creatività e praticità. Svolgevo in pratica, per le moto, lo stesso ruolo che l’interior designer svolge per le case”.

L’anno della svolta è il 1973, quando Franco viene invitato per la prima volta negli USA per seguire una gara motociclistica facendo assistenza nei paddock: è qui che entra in contatto con mister Preston, la cui colossale azienda aveva avviato per prima la produzione di parafanghi a iniezione, che Acerbis incomincia a importare in Italia e in buona parte d’Europa (“mi ero reso conto che Preston non conosceva la geografia: Italia, Francia, Spagna… per lui erano tutti la stessa cosa”). E già l’anno dopo, nel 1974, si presenta alla fiera di Las Vegas per presentare il suo primo prototipo originale: “Mi ero messo tutto in tiro, con il mio prodotto che consideravo il più bello in assoluto… ma nessuno dava retta al mio racconto: quello che interessava era solo il catalogo, la documentazione, che io non avevo minimamente pensato a preparare. ‘No catalog, no show’: la lezione mi è stata chiarissima. Noi italiani andiamo in fiera per far vedere quanto siamo bravi, gli americani invece ci vanno per vendere: quello che conta è l’efficienza, il metodo, la pianificazione, l’organizzazione”. E così, l’anno seguente Acerbis si organizza e sbarca nuovamente negli USA, questa volta con successo. “La prima regola - spiega ancora - è quella di conoscere i mercati a cui ti rivolgi: devi avere l’umiltà di non voler cambiare la loro testa, ma di saper adattare la tua. In questo senso l’America è sicuramente il mercato più impegnativo; ma se riesci da loro, impari un metodo che ti consente poi di andare ovunque”.

Il racconto di Franco Acerbis è una miniera di aneddoti straordinari: “Le cose sembravano procedere bene. Dopo qualche tempo, però, mister Preston divorzia. Un divorzio ‘all’americana’, di quelli cattivi, in cui la moglie esige il 50% dell’intero patrimonio, nulla escluso. E Preston che cosa fa? La prende in parola, e per dispetto taglia tutti gli stampi dell’azienda a metà facendole avere una delle due parti. In pratica, un suicidio per la produzione; e io a quel punto mi trovavo senza prodotti da commercializzare. Servivano 30 milioni di lire per realizzare il mio primo stampo e proseguire autonomamente, e non è stato facile metterli insieme. Ma alla fine, con l’aiuto delle banche, ce l’abbiamo fatta; pensare che adesso la nostra azienda produce più di 300 stampi all’anno…”.

Gli Stati Uniti sono da sempre una fonte di stimolo e ispirazione per Acerbis, che per un certo periodo vi si trasferisce anche a vivere e dove fa crescere una parte importante della sua realtà imprenditoriale: “Gli USA - spiega - sono un luogo dove impari davvero tanto se sai essere umile, dove puoi avere tutte le informazioni che ti servono, purché tu sappia chiedere. È un mondo che mi ha sempre incuriosito, attirato, tanto che nel 1982 abbiamo aperto in California, a San Diego, la nostra prima sede per la linea moto. Oggi ci permettiamo di avere tre basi in tre differenti stati: oltre alla California, dove si segue il marketing, abbiamo i nostri magazzini nello Utah e gli uffici in Idaho. Ed è una formula che funziona benissimo”.

Altro anno importante per l’azienda è il 2005, quando viene ampliato il terreno di azione dando vita alla linea Sport con prodotti di abbigliamento specializzato pensati per le diverse discipline, dal football al basket, dal rugby al volley: una strategia che consente di aumentare la notorietà del marchio Acerbis, portandolo tra i leader assoluti di mercato.

Lo sviluppo prosegue incessante nel corso del tempo, continuando ad accumulare un’esperienza e un know-how che consentono all’azienda un approccio sempre più tecnologico e specializzato nella realizzazione dei materiali. “Oggi - spiega Franco Acerbis - i componenti plastici da noi prodotti vengono creati con tecnopolimeri all’avanguardia, risultato di una costante ricerca da parte del dipartimento R&D, con un catalogo che conta più di 10.000 codici”.

E con il nuovo millennio ha luogo anche il passaggio generazionale che vede l’ingresso in azienda del figlio di Franco: Guido Acerbis, l’attuale CEO. Una fase che in molti casi crea non poche difficoltà, ma che in Acerbis si è rivelata invece del tutto armoniosa: “Il passaggio generazionale nelle aziende - racconta ancora Franco - è un processo estremamente delicato, che deve essere pianificato con estrema attenzione anche per l’aspetto psicologico legato al sovrapporsi della realtà personale e familiare con quella aziendale. Da noi è avvenuto nella maniera più semplice possibile e con successo, attraverso una modalità stimolata da elementi di continuità interni ed esterni messi in atto da Guido. L’azienda non ha subìto alcun tipo di ripercussione: istituti di credito, clienti, fornitori e dipendenti hanno sempre avuto certezze per il futuro e garanzie che l’azienda sarebbe stata condotta nel modo migliore. La percezione generale è stata che Acerbis si stava trasformando e stava crescendo attraverso una nuova generazione”. Un processo che, in ogni caso, è stato facilitato anche da una mentalità particolarmente aperta: “La cultura statunitense - continua Franco - mi ha insegnato a essere orientato al cambiamento, a lasciare spazio alla nuova generazione. Guido a 33 anni era già AD dell’azienda, con la maggioranza delle quote; e ho considerato essenziale che fosse lui a occuparsi sempre direttamente delle nuove assunzioni e dei relativi colloqui. Sono tutti elementi per sottolineare, all’interno come all’esterno, che il comando è davvero passato di mano”.

La parola, quindi, passa a questo punto a Guido Acerbis, a cui è inevitabile chiedere come ci si trova a ricevere il passaggio di testimone da un padre tanto vulcanico e pieno di energia. “Certo, è stato un inizio impegnativo: una frase fatta, ma che rende l’idea - è la sorridente risposta. - Però è stata anche una fortuna, perché ho iniziato ascoltando e cercando di gestire in continuità. E quando 6 anni fa ho capito che c’era bisogno di un cambiamento organizzativo sono intervenuto, confrontandomi e coordinandomi con mio padre, per darci una nuova struttura. L’azienda, oggi, è divisa in quattro gruppi di lavoro del tutto autonomi (accessori per moto, vendita tessile sportivo, produzione serbatoi e stampaggio a iniezione), con deleghe importanti e con un coordinamento che viene seguito da me, che mi avvalgo del confronto e del supporto di mio padre”.

I risultati confermano la correttezza delle scelte fatte: “Gli ultimi anni della nostra storia - prosegue Guido - sono stati caratterizzati da un grande fermento e da una crescita esponenziale (in cui la parte relativa agli accessori moto ricopre il ruolo maggiore, con circa il 40% del totale delle nostre attività): oggi distribuiamo in oltre 90 Paesi al mondo, gestiamo direttamente tre unità produttive (in USA, in Italia e in Repubblica Ceca) e quattro filiali commerciali (Italia, Regno Unito, West USA e East USA). L’ultimo bilancio consolidato (chiuso al 31 agosto 2021) ci ha visto passare dai 60 agli 80 milioni di euro di fatturato; e la nostra crescita, che ha sempre registrato tassi intorno al 5-6%, negli ultimi anni si è attestata sul 20%, con un trend che prevediamo di mantenere anche per il prossimo futuro”. Molta attenzione viene posta anche sulle tematiche ESG relative alla sostenibilità, alla responsabilità sociale e al buon governo dell’azienda; spiega Guido Acerbis: “Abbiamo da anni introdotto forme il welfare aziendale, sviluppando anche un protocollo con la Regione per interventi e iniziative legati alla salute dei dipendenti. L’aspetto della sostenibilità, poi, rappresenta una nuova sfida che ci sta dando notevoli soddisfazioni: proprio di recente un nostro prodotto, la protezione ‘Galaxy Body Armour’, è stato esposto insieme ad altri oggetti di alto design italiano nella mostra ‘Italian Design’ (allestita a Roma in occasione del summit del G20 da ADI-Associazione per il Design Industriale per il Ministero della Cultura) e verrà poi portato nel Padiglione Italia all’Expo di Dubai come esempio di progettazione intelligente, che consente l’ottimizzazione dei materiali: del resto, a mio avviso, il concetto di ‘ambiente’ è anche e soprattutto un discorso di progettazione, su cui ci stiamo impegnando al massimo”.

Lo sport, comunque, non è solo l’oggetto della produzione aziendale, ma una grande passione, un vero e proprio stile di vita che Franco e Guido Acerbis (a sua volta con esperienze nelle competizioni motoristiche) condividono; una passione che si concretizza nelle numerose sponsorizzazioni di squadre in tutta Europa, in diversi sport: basket (Blu Basket Treviglio, in Lega A2), volley (Agnelli TPS, in campionato A2), rugby (Rugby Bergamo, serie B) e moltissimi altri team sparsi su 10 nazioni nei campionati più diversi. Anche se una citazione particolare la merita il calcio, con la U.S.Cremonese, l’Heracles di Almelo (nella Eredivisie olandese), il Valenciennes (League 2 francese), l’F.C. Lugano (Super League svizzera) e soprattutto lo Spezia Calcio. “Ad agosto di quest’anno - spiega Franco Acerbis - abbiamo accompagnato gli ‘aquilotti’ nella loro storica promozione in serie A: la prima volta di Spezia e di Acerbis nel massimo campionato italiano, un’emozione indescrivibile”. Emozioni che in realtà costellano da sempre la vita del dinamicissimo imprenditore, protagonista anche - in qualità di organizzatore e sperimentatore dei percorsi, oltre che di sponsor - di alcuni dei più leggendari rally motociclistici mondiali: la prima gara di enduro disputata in terra sudamericana (“ci inventammo la ‘Lima-Rio’: non esisteva nulla di simile, e diventammo delle celebrità con il supporto persino del presidente della repubblica peruviano”), l’Incas Rally in Perù, le varie edizioni della Dakar disputate in terra sudamericana… le molte foto che ritraggono “Mr. Franco” in tenuta da motociclista, stanco e impolverato nel bel mezzo di panorami selvaggi, la dicono lunga sul fatto che, in queste occasioni, il lavoro si trasforma in pura passione.

Inevitabile, infine, che il discorso cada sulla pandemia e sui suoi effetti, tanto più considerando che questa zona è stata tragicamente al centro della devastante prima ondata. “Marzo 2020 - raccontano a due voci padre e figlio - è stato un vero incubo. Albino ha contato 200 morti in due mesi, quando la media normale era di una ventina; e anche nel micromondo della nostra azienda quasi ogni giorno c’era un lutto, qualcuno che soffriva la perdita di un proprio caro. Poi, da aprile, ci siamo resi conto che in qualche modo dovevamo reagire, si doveva ricominciare: in questo abbiamo trovato una grandissima disponibilità da parte dei nostri dipendenti, che ci ha permesso di iniziare immediatamente la nostra ripresa. E ora più che mai guardiamo al futuro, alle nuove sfide, ai nuovi traguardi”.

Ultima modifica 28/12/2021